venerdì 14 settembre 2012

Milano, città a sorpresa


Una città è un mondo. Per secoli (nel nostro caso per millenni) all’interno di un ristretto spazio si sono intrecciate usanze, mode, abitudini, contatti, complotti... Le vie si sono sviluppate essenzialmente in rapporto alle altre vie e alle piazze, come una pianta secolare che cresce. E nei secoli si sono depositati, strato su strato, regimi politici, dominazioni, predominanze etniche. E opere d’ingegneria, e chiese sopra chiese e queste sopra templi, e anche vie sopra i canali e i laghetti... 
Il "Bagno di Diana", prima piscina pubblica italiana (1842), usata d'inverno come pista di pattinaggio
Oddìo, non succede solo qui: Genova, Barcellona, naturalmente Roma e Parigi. E l'India, il mondo arabo… A Perugia c'è un piccolo quartiere medievale sul quale è stata stesa una parte più nuova, ma proprio stesa, appoggiata sopra, senza coprire gli edifici sottostanti… Una città è un mondo: fatto di alture, vegetazione, acque. Ecco, a Milano c'è acqua, tanta acqua, dappertutto, e se una pioggia torrenziale cadesse per giorni le acque sommerse fuoriuscirebbero nei posti più inattesi, come accade quasi tutti gli anni al Seveso, dalle parti di Niguarda: sono andato a vedere una volta. Impressionante, se non ne sai la causa non riesci a capire da dove viene tutta quell'acqua, dato che apparentemente non ci sono corsi, in quel quartiere. Per esempio potrebbero uscire dalle parti di Porta Venezia. 
Li scorre, antichissimo, il canale Redefoss, che lambisce i resti delle mura spagnole, seguendole fino a Porta Romana, dove piega e continua verso sud-est, fino a Sandonato e Sangiuliano, coperto praticamente in tutta la sua lunghezza, per timore, appunto, delle esondazioni e forse in odio ai gabbiani, che come altrove nel sud della città, direi una ventina d'anni fa, vennero a trovare un nuovo habitat, con un lento migrare dalle coste liguri. Ma l'acqua è un elemento indomabile e prima o poi da qualche parte torna fuori, anche perchè non c'è cementificazione che tenga, se la pioggia scende da qualche parte deve andare. A Porta Venezia il Redefoss (che non vuol dire naturalmente "re dei fossi", ma retrofosso o magari anche rivo-de-fosso) s'incontra con l'Acqualunga, anch'esso antichissimo (perchè a Milano i lavori idraulici iniziarono, è documentato, coi romani se non addirittura con gli Insubri, che vennero dalla Gallia attorno al 390 prima dell'era volgare, o almeno sembra). 
L'Acqualunga è un fontanile, cioè un corso naturale che sgorga sotto forma di polla dalla pianura, che poi così piana non è: sapendo che Monza è alta sul mare 162 metri e Milano 40 in meno, si capisce come l'acqua di una risorgiva possa defluire verso la città senza eccessivo sforzo. Questo fontanile origina dalle parti di Gorla e poi, rettificato degli uomini, prosegue tombinato sotto viale Monza e corso Venezia e, a quanto riferisce chi ci si è affacciato, avvelenato. Oltre non si sa: se in antico arrivava probabilmente nella zona delle cattedrali (erano due, una invernale e una estiva!) o almeno delle mura romane, oggi dovrebbe anch'esso piegare a sud-est. Non si sa proprio, visto che tecnici ed esperti danno risposte diverse, una cosa diffusissima per quanto riguarda le acque sotterranee milanesi, un vero labirinto.

Il sedicente Foro Bonaparte e il Naviglio mai nato


La sterminata espansione del progettato Foro Bonaparte
Il Foro romano tutti sanno cos'è, un luogo ampio, punteggiato da edifici commemorativi e/o pubblici, un luogo di memorie e di confronto: per traslato questo termine ha originato quello che in Rete chiamiamo latinamente forum, dove appunto si discute e dove i monumenti sono spesso presenti sotto forma di accattivanti immagini.
Ebbene, cos'ha tutto ciò a che fare con il Foro Bonaparte? Nessuno si chiede perché un viale semicircolare come questo (che attornia il castello di Milano a poca distanza) viene chiamato in tal modo? Una prima risposta la troviamo guardandone l'orientamento in relazione al tessuto urbano: il semicerchio punta a nord, non verso la città ma semmai verso il Sempione, cioè verso la Svizzera Romanda e poi verso Parigi. Completiamo idealmente il Foro Bonaparte e vedremo che esso diviene un cerchio chiuso, esterno alla storica rotondità di Milano; esterno, quindi contrapposto. Prima, fino a quando non è stato eretto il Castello, il palazzo dei signori di Milano si trovava nel cuore della città, fianco a fianco con quello degli arcivescovi. 
Il maestoso varco d'uscita in direzione del Sempione e di Parigi
Ma costruendo il Castello, alla quota più alta presente in città, tre metri sopra il piano circostante,  ecco che il potere civile si “tirava fuori” ponendosi in un luogo altro rispetto alla città, affermandosi come un tutto e non più come una parte. Un cambiamento che si realizzava in parallelo al calo di potere degli arcivescovi (i veri rifondatori della città, poco prima dell'anno Mille), privi ormai del grande potere unificato posseduto, per esempio, da Ariberto, con poche (e anche malaugurate) eccezioni, come nel caso di Carlo, esponente della potente famiglia Borromeo.  Le mappe di Milano racconteranno ancora nel Seicento questa realtà rappresentando il castello nella posizione in cui dovrebbe invece trovarsi il nord, e talvolta ingigantendolo, come nel 1573 fece il Lafréry, che pure ne fu uno dei cartografi più accurati.
La mole del Castello rimaneggiato come si sarebbe vista dal varco  verso la città
Ma torniamo al Foro Bonaparte: nel 1801 venne firmato fra le potenze europee il trattato di pace di Lunéville,  e a Milano si decise di ricordare l'avvenimento con la sistemazione urbanistica della zona intorno al Castello; non lo si sapeva, ovviamente, ma la pace durerà solo quattro anni! Con una celerità più "napoleonica" che milanese, dopo due mesi si arrivò alla posa della prima pietra. Il progetto era stato affidato all’architetto bolognese Giovanni Antolini, che lo concepì con spirito consono ai nuovi ideali repubblicani, ostili ai vecchi regimi sotto cui erano fioriti il barocco e il rococò, ma che non ebbe il piacere di vederlo completato. Sognatore e insieme concreto, Antolini iniziò gli studi universitari proprio dall'idraulica fluviale e di acque sempre si occupò negli anni (ponti, rettificazioni del corso dei fiumi, bonifiche), e fra le altre cose partecipò a lavori di bonifica delle Paludi Pontine, ma colpito dalla malaria due anni dopo venne chiamato a Milano quale membro della commissione Idraulica.
La posa della prima pietra: si notino le cattive condizioni del Castello
Il sogno di Antolini era grandioso e piacque molto a Napoleone, attento a tutto ciò che riguardava Milano, purtroppo anche distruggendo, come nel caso di S. Francesco grande, ampia e amata chiesa del Duecento, di fianco a S. Ambrogio, sostituita dalla caserma neoclassica ancora in piedi (da qui la polizia caricò nel Sessantotto gli studenti della Cattolica occupata senza doversi prendere il disturbo di usare mezzi di trasporto).
Il progetto, valutato da un'apposita commissione, subì modifiche per poi essere accantonato a causa del suo costo (sette milioni del tempo): pur avendo nell'imperatore Napoleone il suo più grande sostenitore, fu ritenuto dal generale Bonaparte troppo ambizioso. E nonostante portasse il suo nome fu lui stesso a interrompere i lavori poco dopo l’inizio, preoccupato forse di sottrarre denaro alle guerre che stava per scatenare in tutta Europa.
La "Grande Sala della Dogana" e il suo bacino circolare
Il Foro prevedeva che intorno al nucleo superstite del Castello, rimaneggiato e divenuto sede del governo della Repubblica Cisalpina, venisse eretto un imponente colonnato dorico attorno a un'immensa piazza circolare, con diametro di 520 metri (legato forse al numero delle settimane?), delimitata da porticati. Tutt'attorno erano previsti edifici pubblici come un teatro, un museo, un Pantheon, le terme, la Borsa, padiglioni per ospitare le assemblee nazionali, una cavallerizza. 
Dimensioni a confronto tra il Duomo o il Lazzaretto e il Foro progettato
L'obiettivo era di spostare il centro cittadino dalla piazza del Duomo, stretta in piccole vie di impostazione medievale, all'appena concepito Foro che diveniva così il fulcro della vita cittadina, un vero e proprio centro direzionale per costruire il quale probabilmente si sarebbero dovuti distruggere i quartieri più a nord della città storica e che avrebbe costituito la più grande costruzione esistente a Milano, assai più ampia del Duomo e della relativa piazza: nemmeno il Lazzaretto, così vasto,  raggiungeva la stessa estensione. Il Foro avrebbe avuto due grandi varchi d'accesso di cui quello esterno, decisamente più maestoso, si trovava appunto sull'asse verso la Francia e la Parigi di Napoleone.
L'aspetto che più interessa è però un altro: il progetto includeva la presenza di una “Gran Sala della Dogana” (con annessa guarnigione dei doganieri) sotto cui scorreva l'acqua, formando un bacino per l'attracco dei barconi mercantili. E tutto il complesso sarebbe stato attorniato da un canale circolare navigabile interno alla grande agorà, unito al Naviglio e valicato da ponti. I magazzini commerciali sarebbero stati collegati tramite un sistema di canali minori. Questo insieme di acque aveva anche un nome, naturalmente classicheggiante: si chiamava infatti Euripo, un termine probabilmente sentito come benaugurante, visto il prefisso "eu", ma che derivava dall'uso romano di battezzare in questo modo i piccoli canali urbani e persino le grandi condutture. Peccato che all'origine fosse stato chiamato e tuttora si chiami così l'angusto stretto fra l'isola di Eubea e la terraferma greca, luogo tutt'altro che sicuro: per ragioni idrologiche difficili da comprendere, in quel tratto di mare si determina un'inversione della corrente da nord a sud e viceversa, più volte nel corso della giornata, creando pericolosi vortici tanto che è permesso passare solo in alcuni orari obbligati. 
Certo la ferrovia non esisteva ancora al tempo dell'Antolini ed era naturale, specie in una città d'acque come era Milano, che i trasporti avvenissero sull'acqua: l'Euripo sarebbe stato collegato a occidente con il Naviglio di San Gerolamo e forse a oriente si sarebbe spinto in direzione di San Marco, ma per dirlo con esattezza occorrerebbe vedere i progetti originali di Antolini. 
Va detto che la storia delle acque in prossimità del Castello non si esaurisce in questo sogno incompiuto. Altri progettisti hanno ideato un analogo collegamento, come il Mira che nell'Ottocento tentò invano di far coprire la Cerchia. Un progetto simile viene caldeggiato anche oggi da parte di quegli appassionati dei canali che sono però contrari alla riapertura della Cerchia medesima. 
E comunque, in epoca viscontea, un'imbarcazione di ampie dimensioni chiamata "la Magna" ospitava a volte il signore di Milano che si recava a esaminare di persona i problemi del contado, scegliendo un mezzo di trasporto meno esposto ad agguati e congiure. Non sappiamo che aspetto avesse questa piccola corte galleggiante, dove fosse ormeggiata di solito e per quali canali navigasse: sarebbe davvero affascinante trovare qualche immagine che ci permetta un viaggio nel tempo, cinque secoli addietro. Ma di questo riparleremo.