venerdì 22 febbraio 2013

Miracolo a Milano, fra 10 anni…




“Miracolo a Milano”: perentoriamente così titolava, nel 2002, Ventiquattro, il magazine mensile de Il Sole 24 ORE, il quotidiano economico italiano più venduto e il terzo giornale d’informazione dopo Corriere e Repubblica.
L’allusione all’omonimo film di De Sica era evidente, ma finiva lì, non essendovi nulla di fiabesco nell’articolo, cui era dedicata anche la copertina del mensile, che rappresentava la festa dell’inaugurazione dei rinati Navigli milanesi, il 4 ottobre 2022. Una data significativa comunque la si guardi: è la festa di San Francesco, certo cristiano (e forse capace di operare miracoli!), patrono d’Italia, e anche dell’ambiente e degli animali, come vediamo nel celebre “Cantico delle creature”, ma uomo, a suo modo, sovversivo e utopistico.
Fin dalla copertina è spiegato poi l’anno; vi si legge “Ieri, 4 ottobre 2022, è stata inaugurata la nuova via Laghetto, a un passo dal Duomo. Una grande festa ha salutato la fine dell’operazione ‘Milano d’acqua’. Il progetto di riapertura dei Navigli era stato coraggiosamente varato vent’anni fa per rilanciare la città sulla scena internazionale”. Anche la data di nascita di questo progetto ha dell’intrigante, collocandosi quasi dieci anni prima del referendum sui Navigli del 2011 col suo clamoroso risultato del 94% di sì, e ci lascerebbe ancora nove anni per raggiungere l’obiettivo e riparare al misfatto mussoliniano (la copertura, fatte salve le altre osservazioni, fu voluta dal capo del fascismo in persona, e per battere le opposizioni si fece ricorso a irregolarità legali e a “menefreghistiche” accelerazioni).
Sorprendente infine il disegno collocato in copertina, che rimanda a un poco noto quadro di Luigi Bartezago (chiamato anche Bartezati), intitolato “Illuminazione del Duomo e della Piazza per il compimento della nuova Piazza in onore dell’imperatore Guglielmo I”, che si tenne nel 1875, anch'esso in ottobre ma dal giorno 18: la somiglianza fra le due immagini è notevolissima, anche se mancano le luminarie a terra. Il disegnatore si è ispirato al pittore oppure si tratta di un caso?
Una celebre inquadratura del film "Miracolo a Milano" (1951)
Non è un miracolo invece che a esporsi così sul tema delle acque milanesi sia stato il giornale di proprietà della Confindustria, peraltro ben conosciuto per le libere e stimolanti posizioni culturali che appaiono nell’inserto domenicale: le motivazioni, già accennate dal sommario della copertina, sono poi approfondite in modo interessante nell’articolo, illustrato vivacemente dallo stesso disegnatore. Lo riporteremo in parte quanto prima, o anche per esteso, se il quotidiano ci concede la liberatoria. Vogliamo però riconoscere, pur nella disparità delle opinioni politiche e sociali, che una imprenditorialità lungimirante a volte è possibile. Lo afferma del resto lo stesso magazine: “Fantasia al potere, ma questa volta con solide basi. Futuro che recupera il passato superando di slancio limpasse del presente. Per creare nuove, fondamentali ricadute economiche sulla città e il suo territorio”.

mercoledì 20 febbraio 2013

Cosa accadde quel giorno a Porta Tosa



Questa stampa popolare sulla presa di Porta Tosa mostra bene l’uso che si può fare delle illustrazioni e dei quadri, anche d’autore (e talvolta dipinti a memoria), che gli artisti coevi produssero su fatti o su luoghi che oggi non possiamo più vedere. Le stampe del resto, solo raramente basate su fotografie, che avevano comunque minore qualità documentaria, furono un modo frequente di dare informazioni ai lettori dei giornali ottocenteschi e cedettero il passo molto lentamente. E, se guardate con attenzione, ce le danno tuttora: anche questa che pure lascia alquanto a desiderare come “impaginazione”.
I vari protagonisti della scena non si trovano là dove ce li aspetteremmo o stanno facendo cose poco comprensibili, come il carro coperto che sembra sostare proprio durante uno scontro a fuoco e vicino al quale vediamo due cavalli precipitarsi dal terrapieno delle mura, di cui uno senza il cavaliere. Alcuni borghesi sparano da una cascina, mentre un terzo giace al suolo, non lontano dal quale si nota una macina, quasi a sottolineare la natura contadina del luogo: ma non si capisce bene cosa ci faccia lì, considerato che se l’edificio è un mulino essa dovrebbe trovarsi al suo posto, cioè lungo l’acqua, e che trasportarla non dev’essere stato facile. Il colore rosseggiante dei piccoli alberi, che sembrano proprio gelsi, è un mistero in più, anche perchè non siamo in autunno ma nel giorno 22 di marzo, come ci testimonia l’odierno corso che da qui si diparte.
Per orientarci diremo che il campo coltivato, al centro dell’immagine, si trova dove oggi s’innalza Coin; a destra vediamo l’inconfondibile sagoma di S. Maria della Passione; al centro il campanile di San Pietro in Gessate (che oggi ha di fronte il Palazzo di Giustizia), dietro al quale troneggia il tiburio del Duomo: troneggia davvero, può sembrare banale sottolinearlo, ma fino a quell’epoca doveva praticamente esser visibile da ogni parte della città, sovrastandola: non si sa se come messaggio o monito, certo come punto di riferimento, utile ai “forestieri”.
Sulla sinistra vediamo avanzare gli insorti, protetti in parte dalle barricate mobili che quel giorno ebbero una funzione forse decisiva. Ma non c’è traccia del Naviglietto di Porta Tosa, che pure non doveva essere ancora stato coperto e bipartiva il corso, in direzione est: una sorta di oggetto inafferrabile per chi cerchi informazioni sulle acque milanesi, quasi un antenato di quel Canale navigabile Milano-Cremona-Po che fu studiato dagli ingegneri del Genio civile almeno a partire dall’anno 1900, e di cui ci restano labili tracce nelle carte topografiche cittadine che lo disegnavano assieme al porto relativo, con tutti i suoi moli, come se fosse già stato aperto.
Se non abbiamo il porto abbiamo però, traccia solo nominale, la stazione del metrò che lo evoca: “Porto di mare” si chiama, e moltissimi milanesi (figuriamoci gli stranieri!) se ne chiedono il perché. Ma di questa farsa parleremo prossimamente, ricordando anche il mitico cronista duecentesco Bonvesin de la Riva che già allora lamentava il grave, per lui l’unico, difetto della città: la mancanza di un porto che possa accogliere navi provenienti dal mare. Una carenza che verrà meno quando i potenti “indirizzeranno le loro forze a compiere quest’opera con lo stesso impegno con cui ora si distruggono a vicenda ed estorcono denaro ai concittadini per sostenere le loro scelleratezze” (De magnalibus Mediolani, cap. VIII, righe 199-201).
Al momento però i potenti hanno proceduto allo scioglimento dell’ente preposto a costruirla per progettare una improbabile Cittadella della giustizia che solo gli speculatori volevano e che infatti è stata cassata ancor prima di cominciare. Così Milano non ha la “cittadella” e nemmeno la speranza di una struttura via acqua che abbatta drasticamente l’arrivo delle merci in città sulle ruote di uno sterminato esercito di Tir. Ma non è detta l’ultima parola e si può ancora sperare, a sette secoli di distanza, che Milano venga vissuta come bene comune e che la profezia si compia.
Torniamo alla stampa, che noi qui abbiamo diviso in due: l’altra metà rappresenta, si direbbe, la fuga degli austriaci, anche se non si capisce bene chi e perché stia dando fuoco alla porta. Un uomo è steso a terra e dalla posizione si direbbe, sinceramente, che dorma, nonostante il casino: nessuno comunque si sta occupando di lui, vivo o morto che sia. Poco chiara è pure la struttura idraulica complessiva, con quel voltone al centro, forse il “tombone” (che significa sottopasso, non laghetto) del Naviglietto citato. All’estremità dell’immagine è invece ben visibile un corso d’acqua di discrete dimensioni: è il Redefoss (questo il suo nome, però chi vuole può chiamarlo Redefosso; mai Redefossi, termine coniato sulla base di una paretimologia che crede di leggervi “re dei fossi”). Questo canale, uno dei tanti della nostra città d’acque, che scorre ancora, seppure in gran parte sepolto, giunge poi alla Porta Romana e lì piega anch’esso verso est: destinazione finale il Lambro, o meglio la Vettabbia, l’altro non secondario, e antichissimo, canale del quadrante di sud-est, che lo riceve prima di buttarsi a sua volta nel fiume. L’immagine del ponte che lo scavalca è una delle pochissime che lo ritraggono, tra foto e pitture, e per questo la segnaliamo, mentre evochiamo i lavori che si compivano nella cascina di cui dicevamo, col Redefoss a muovere la macina e la coltura dei bachi da seta.
Senza dimenticare però l’immagine da cui siamo partiti, testimone anche dell’altro scempio di grandi dimensioni che ha colpito la città: l’abbattimento delle sue mura, avvenuto oltre mezzo secolo prima della copertura della Cerchia interna. Eppure Roma, per dire, vive benissimo con le proprie e non è la sola!
A breve cercheremo di compiere una sorta di collage virtuale delle vedute che ce ne restano. L’ideale sarebbe una completezza che sappiamo impossibile, ma tutti sono invitati fin d’ora a segnalarci le tessere del puzzle che dovessero mancarci.