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La sterminata espansione del progettato Foro Bonaparte |
Il Foro romano tutti sanno cos'è, un luogo ampio, punteggiato da edifici
commemorativi e/o pubblici, un luogo di memorie e di confronto: per traslato
questo termine ha originato quello che in Rete chiamiamo latinamente forum,
dove appunto si discute e dove i monumenti sono spesso presenti sotto forma di
accattivanti immagini.
Ebbene, cos'ha tutto ciò a che fare con il Foro
Bonaparte? Nessuno si chiede perché un viale semicircolare come questo (che
attornia il castello di Milano a poca distanza) viene chiamato in tal modo? Una
prima risposta la troviamo guardandone l'orientamento in relazione al tessuto
urbano: il semicerchio punta a nord, non verso la città ma semmai verso il
Sempione, cioè verso la Svizzera Romanda e poi verso Parigi. Completiamo
idealmente il Foro Bonaparte e vedremo che esso diviene un cerchio chiuso,
esterno alla storica rotondità di Milano; esterno, quindi contrapposto. Prima, fino a
quando non è stato eretto il Castello, il palazzo dei signori di Milano si trovava nel cuore della città,
fianco a fianco con quello degli arcivescovi.
Ma costruendo il Castello, alla quota più alta presente in città, tre metri sopra il piano circostante, ecco che il potere civile si “tirava
fuori” ponendosi in un luogo
altro rispetto alla città, affermandosi come un tutto e non più come una parte. Un cambiamento che si realizzava in parallelo al calo
di potere degli arcivescovi (i veri rifondatori della città, poco prima dell'anno Mille), privi ormai del grande potere unificato
posseduto, per esempio, da Ariberto, con poche (e anche malaugurate) eccezioni, come nel caso di
Carlo, esponente della potente famiglia
Borromeo. Le mappe di Milano
racconteranno ancora nel Seicento questa realtà rappresentando il castello
nella posizione in cui dovrebbe invece trovarsi il nord, e talvolta
ingigantendolo, come nel 1573 fece il Lafréry, che pure ne fu uno dei cartografi più accurati.
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Il maestoso varco d'uscita in direzione del Sempione e di Parigi |
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La mole del Castello rimaneggiato come si sarebbe vista dal varco verso la città |
Ma
torniamo al Foro Bonaparte: nel 1801 venne firmato fra le potenze europee il trattato di pace
di Lunéville, e a Milano si decise
di ricordare l'avvenimento con la sistemazione urbanistica della zona intorno
al Castello; non lo si sapeva, ovviamente, ma la pace durerà solo quattro anni!
Con una celerità più "napoleonica" che milanese, dopo due mesi si arrivò
alla posa della prima pietra. Il progetto era stato affidato all’architetto bolognese
Giovanni Antolini, che lo concepì con spirito consono ai nuovi ideali
repubblicani, ostili ai vecchi regimi sotto cui erano fioriti il barocco e il
rococò, ma che non ebbe il piacere di vederlo completato. Sognatore e insieme concreto, Antolini iniziò gli studi universitari proprio dall'idraulica fluviale e di acque sempre si occupò negli anni (ponti, rettificazioni del corso dei fiumi, bonifiche), e fra le altre cose partecipò a lavori di bonifica delle Paludi Pontine, ma colpito dalla malaria due anni dopo venne chiamato a Milano quale membro della commissione Idraulica.
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La posa della prima pietra: si notino le cattive condizioni del Castello |
Il
progetto, valutato da un'apposita commissione, subì
modifiche per poi essere accantonato a causa del suo costo (sette milioni del tempo): pur avendo nell'imperatore Napoleone il suo più grande
sostenitore, fu ritenuto dal generale Bonaparte troppo ambizioso. E nonostante
portasse il suo nome fu lui stesso a interrompere i lavori poco dopo l’inizio,
preoccupato forse di sottrarre denaro alle guerre che stava per scatenare in
tutta Europa.
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La "Grande Sala della Dogana" e il suo bacino circolare |
Il
Foro prevedeva che intorno al nucleo superstite del Castello, rimaneggiato e
divenuto sede del governo della Repubblica Cisalpina, venisse eretto un
imponente colonnato dorico attorno a un'immensa piazza circolare, con diametro
di 520 metri (legato forse al numero delle settimane?), delimitata da
porticati. Tutt'attorno erano previsti edifici pubblici come un teatro, un
museo, un Pantheon, le terme, la Borsa, padiglioni per ospitare le assemblee nazionali, una
cavallerizza.
L'obiettivo era di spostare il centro cittadino dalla piazza del Duomo, stretta in piccole vie di impostazione medievale, all'appena concepito Foro che diveniva così il fulcro della vita cittadina, un vero e proprio centro direzionale per costruire il quale probabilmente si sarebbero dovuti distruggere i quartieri più a nord della città storica e che avrebbe costituito la più grande costruzione esistente a Milano, assai più ampia del Duomo e della relativa piazza: nemmeno il Lazzaretto, così vasto, raggiungeva la stessa estensione. Il Foro avrebbe avuto due grandi varchi d'accesso di cui quello esterno, decisamente più maestoso, si trovava appunto sull'asse verso la Francia e la Parigi di Napoleone.
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Dimensioni a confronto tra il Duomo o il Lazzaretto e il Foro progettato |
L'aspetto
che più interessa è però un altro: il progetto
includeva la presenza di una “Gran Sala della Dogana” (con annessa guarnigione
dei doganieri) sotto cui scorreva l'acqua, formando un bacino per l'attracco
dei barconi mercantili. E tutto il complesso sarebbe stato attorniato da un
canale circolare navigabile interno alla grande agorà, unito al Naviglio e
valicato da ponti. I magazzini commerciali sarebbero stati
collegati tramite un sistema di canali minori. Questo insieme di acque aveva anche un nome, naturalmente classicheggiante: si chiamava infatti Euripo, un termine probabilmente sentito come benaugurante, visto il prefisso "eu", ma che derivava dall'uso romano di battezzare in questo modo i piccoli canali urbani e persino le grandi condutture. Peccato che all'origine fosse stato chiamato e tuttora si chiami così l'angusto stretto fra l'isola di Eubea e la terraferma greca, luogo tutt'altro che sicuro: per ragioni idrologiche difficili da comprendere, in quel tratto di mare si determina un'inversione della corrente da nord a sud e viceversa, più volte nel corso della giornata, creando pericolosi vortici tanto che è permesso passare solo in alcuni orari obbligati.
Certo la ferrovia non esisteva ancora al tempo dell'Antolini ed era naturale, specie in una città d'acque come era Milano, che i trasporti avvenissero sull'acqua: l'Euripo sarebbe stato collegato a occidente con il Naviglio di San Gerolamo e forse a oriente si sarebbe spinto in direzione di San Marco, ma per dirlo con esattezza occorrerebbe vedere i progetti originali di Antolini.
Va detto che la storia delle acque in prossimità del Castello non si esaurisce in questo sogno incompiuto. Altri progettisti hanno ideato un analogo collegamento, come il Mira che nell'Ottocento tentò invano di far coprire la Cerchia. Un progetto simile viene caldeggiato anche oggi da parte di quegli appassionati dei canali che sono però contrari alla riapertura della Cerchia medesima.
E comunque, in epoca viscontea, un'imbarcazione di ampie dimensioni chiamata "la Magna" ospitava a volte il signore di Milano che si recava a esaminare di persona i problemi del contado, scegliendo un mezzo di trasporto meno esposto ad agguati e congiure. Non sappiamo che aspetto avesse questa piccola corte galleggiante, dove fosse ormeggiata di solito e per quali canali navigasse: sarebbe davvero affascinante trovare qualche immagine che ci permetta un viaggio nel tempo, cinque secoli addietro. Ma di questo riparleremo.
Certo la ferrovia non esisteva ancora al tempo dell'Antolini ed era naturale, specie in una città d'acque come era Milano, che i trasporti avvenissero sull'acqua: l'Euripo sarebbe stato collegato a occidente con il Naviglio di San Gerolamo e forse a oriente si sarebbe spinto in direzione di San Marco, ma per dirlo con esattezza occorrerebbe vedere i progetti originali di Antolini.
Va detto che la storia delle acque in prossimità del Castello non si esaurisce in questo sogno incompiuto. Altri progettisti hanno ideato un analogo collegamento, come il Mira che nell'Ottocento tentò invano di far coprire la Cerchia. Un progetto simile viene caldeggiato anche oggi da parte di quegli appassionati dei canali che sono però contrari alla riapertura della Cerchia medesima.
E comunque, in epoca viscontea, un'imbarcazione di ampie dimensioni chiamata "la Magna" ospitava a volte il signore di Milano che si recava a esaminare di persona i problemi del contado, scegliendo un mezzo di trasporto meno esposto ad agguati e congiure. Non sappiamo che aspetto avesse questa piccola corte galleggiante, dove fosse ormeggiata di solito e per quali canali navigasse: sarebbe davvero affascinante trovare qualche immagine che ci permetta un viaggio nel tempo, cinque secoli addietro. Ma di questo riparleremo.
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