domenica 21 aprile 2013

Pierrot al Ponte delle Sirenette


Una foto artistica sul Naviglio: dove mai poteva essere ambientata se non al Ponte delle Sirenette? Come dire uno dei luoghi più amati del Naviglio “aristocratico” che nemmeno il regime ebbe il cuore di distruggere, e con esso il podestà De Capitani d’Arzago, quello che disse della copertura del canale “Si tratta di un atto dovuto”, facendosi forte del cattivo odore che spesso ne proveniva.
Pierrot e Pierrette
Un pretesto, in realtà, già superato nel secondo Ottocento, come testimonia l’ingegner Emilio Bignami Sormani, direttore tecnico comunale delle acque e giardini, nelle appendici al suo fondamentale testo del 1866 “I canali della città di Milano”, dove informa sulle modalità con cui le grandi città straniere affrontavano il problema degli scoli domestici nei loro fiumi e canali.
La nostra città purtroppo non brilla per la cura dell’ambiente, tanto che solo nei primi anni del XXI secolo ha risolto il problema dell’inquinamento, fluviale e fognario, arrecato ai Comuni posti a valle: buona ultima, o quasi, fra le metropoli italiane grandi o piccole (insomma i centri urbani sopra i 200.000 abitanti).
Un caso particolare, grave in sé e nelle conseguenze pratiche, fu l’ammaloramento dei Navigli: sotto la copertura in cemento le acque continuavano a scorrere, ma nel 1967 risultò ormai chiaro che la struttura non teneva, le volte cedevano, le acque inquinate e i vapori prodotti dai residui delle lavorazioni industriali erodevano il canale. Il Corriere dell’epoca descrisse con parole assurdamente definitive i danni: «La fossa è ormai, dal punto di vista statico, un’ammalata incurabile, con complicanze di ordine igienico e idraulico». Per oltre un anno appositi cannoni spararono terra e polvere di macerie nei cunicoli e la Cerchia venne così sigillata. La nostra fatica di “scoperchiatori” sarebbe stata molto più lieve senza questa sciagurata decisione…
Ma veniamo alla nostra foto (non siamo riusciti a risalirne all’autore), che ritrae un Pierrot impallidito come sempre dalla biacca però con i colori della veste invertiti rispetto alla tradizione, che lo vuole tutto bianco come la Luna di cui è innamorato, con un piccolo cappello scuro, e solo più di recente adorno di grandi bottoni neri: in questa immagine invece è la Pierrette a indossare questi colori, in una sorta di gioco di positivo e negativo fotografici. I due sono ritratti in un momento di dialogo intimo e collocati in modo da mostrare bene il contesto, sia il tratto della Cerchia fino a corso Venezia sia le Sirenette nella loro originale collocazione, ai piedi delle quali essi si trovano. Durante la copertura il ponte delle Sirenette venne trasferito in un gradevole contesto, quello del Parco Sempione, dove però appare quasi trascurabile alla vista e comunque non più inserito nel tessuto urbano.
La fotografia, che a occhio diremmo di poco precedente al misfatto, emana una sottile malia, che non nasce solo dai personaggi ritratti. Viene anzi fatto di pensare che rappresenti una sorta di manifesto contro il “declino di un’affabilità urbana”,  definito dall’architetto Marco Comolli nel suo breve ma succosissimo “La cancellazione dei Navigli” (Edizioni Theoria, 1994). Recensendolo, un altro attento studioso dei nostri canali, Franco Brevini, conclude: «Se i nostri nonni, che di fronte ai Navigli lamentavano le puzze da inquinamento organico, prezioso nutrimento per le marcite, dovessero risvegliarsi nelle camere a gas del traffico automobilistico, non potrebbero che concludere con Nietzsche che il rimedio è stato peggiore del male».
Del resto molti non condivisero il giudizio del podestà, in uno scontro frontale di posizioni che ci appare assai caratteristico delle vicende milanesi, nato comunque oltre mezzo secolo prima della copertura (e qualcuno si crogiola con espressioni tipo “Milano città del fare”!). Nel 1909 Carlo Linati, che era uno scrittore ma anche un viaggiatore, così diceva: «Giù nel canale l’acqua è di un bel verde giada, lungo i muri, rosea, là dove si specchia il cielo».*
Il progetto dell'architetto Boatti
Ma, se avremo ragione della miopia che troppo spesso è ancora “al potere”, l’antico fotografo potrebbe forse, in un futuro che speriamo prossimo, tornare a scattare un’immagine simile nello stesso posto: seppur mutato da allora, questo avrebbe solo da guadagnare da una rinnovata presenza delle Sirenette nel loro luogo d’origine. Una presenza favorita da un inserimento adeguato nel paesaggio urbano, senza la nevrotica ricerca della fedeltà filologica a tutti costi: potrebbe anche trattarsi di un duplicato, lasciando perciò l’originale là dove è stato ricollocato, un duplicato parzialmente moderno, almeno come materiali. Dov’è scritto che un bel manufatto, nuovo oppure ispirato all’antico, diventa brutto perchè è nato secoli dopo il contesto in cui si viene a trovare? E se ci si guarda in giro, vedremo che Milano ne è piena.
Nel suo sito il professor Emilio Battisti ne presenta un convincente ritorno, secondo il progetto dell’architetto Antonello Boatti.

*Per vedere la citazione completa e ammirare il dipinto evocatore di Filippo Carcano ambientato nelle vicinanze, cliccare su Archivio Filippo Carcano


Curioso scoprire che il nome Pierrot, che parrebbe francesissimo, è in realtà la traduzione di Pedrolino, uno dei primi “servi” della commedia dell’arte italiana, che aveva a sua volta tratto la casacca da quella ben nota di Pulcinella. Cambiamento dopo cambiamento il personaggio venne adattato al gusto dei francesi fino a prendere caratteristiche sentimentali e malinconiche e divenire lo straniato mimo innamorato della Luna (comparso col nome di Gilles nel notissimo quadro di Watteau), magistralmente interpretato da Jean-Gaspard Debureau che ne definì l’aspetto attuale. La vita di Debureau ispirò a Marcel Carné il leggendario film Les enfants du paradis, apice della collaborazione fra il regista 
e lo sceneggiatore, poeta e anarchico 
Jacques Prévert.
Arletty e Jean-Louis Barrault in "Les enfants du Paradis"

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