mercoledì 31 dicembre 2014

Le contraddizioni di Milano


Una città contraddittoria, anche strana sotto certi aspetti, e tutta la sua storia sta a mostrarlo anche se qui ne toccheremo solo alcuni aspetti. Per esempio, Milano ha oscillato fra momenti tranquilli e spesso di acquiescenza al potere di turno oppure episodi di rivolta o di contrasto, per alcuni dei quali è celebre come le Cinque giornate del 1848 (unico caso di vittoria degli insorti fra le molte rivolte che scossero in quell’anno l’Europa) o i moti del 1898, nati come protesta popolare e tramutati in un massacro dal generale Bava Beccaris, che usò contro la popolazione praticamente disarmata addirittura i cannoni, provocando non meno di 118 morti.
L’unico caduto fra i militari fu un soldato, a quanto pare dal nome ignoto (e la cosa dispiace), che, rifiutatosi di sparare contro i cittadini, venne immediatamente passato per le armi.

Anche più spesso, Milano ha dato luogo a contrasti tra fazioni (potremmo dire tifoserie), qui probabilmente più abbondanti che altrove: l’esempio più noto è la lotta secolare fra i Torriani e i Visconti, conclusasi con la sconfitta dei primi, anzi con la distruzione fisica del loro insediamento, un vero e proprio quartiere, ricco di giardini, collocato in quella Porta Nuova di cui la famiglia era originaria: l’episodio è ancora oggi evocato dalla via delle Case Rotte che dà appunto sull’attuale Piazza della Scala. 

I Visconti, invece, provenivano dal Lago Maggiore e preso il potere, agli inizi del Trecento, vi restarono per due secoli col successivo subentro per via militar-nuziale degli Sforza, dei quali l’ultimo, Ludovico, detto il Moro, è stato forse il più illuminato dei duchi milanesi, esempio di signore rinascimentale. I Visconti costituirono una dinastia che pur basata su di uno stato di non ampie dimensioni ebbe modo d’intrecciarsi con molte casate europee, anche se finì di fatto con l’estinguersi; i Torriani, o della Torre, apparentemente scomparsi, riemersero dopo varie traversie anche grazie all’efficiente servizio di posta che i collaterali Tasso avevano organizzato, a partire dalla Bergamasca: era in quel tempo un compito essenziale e insieme difficile, e non stupisce che i Maestri di posta delle origini, diffondendosi in molte terre del Continente e precorrendo coi loro metodi le poste moderne, abbiano raggiunto nel tempo il titolo di principe, generando molti rami laterali o successivi. Collegati essenzialmente agli Asburgo acquistarono importanza europea, come ancora testimonia la famiglia tedesca dei Thurn und Taxis.
Cè chi vede nel contrasto netto dei colori bianco e rosso che l’insegna ufficiale di Milano presenta una simbolizzazione, anche politica (Resistenza, Sessantotto…) di questa duplicità; ma attenzione, la città è duplice anche sul piano araldico, poiché presenta due stemmi diversi: l’altro è quello in cui campeggia un biscione ondeggiante di un azzurro intenso con un saraceno (il divorato) in bocca, così narra una leggenda non si sa quanto fondata. Lo stemma, che è poi appunto quello della famiglia Visconti e che dovrebbe alludere alla loro presenza nelle Crociate, è nei fatti il “logo” di Milano: anzi molti, persino milanesi, credono che sia questa l’insegna della città. 

Ma la sua importanza viene da lontano: il biscione, o basilisco o come altrimenti lo si vuol chiamare, campeggia ben visibile a cominciare dalle prime mappe “moderne”, nel Cinquecento, e certo ha avuto un peso l’originalità, un po’ aggressiva, del disegno, non confondibile come è invece una croce. Per di più, duecent’anni prima, cioè in contemporanea all’ascesa dei Visconti al potere, Dante lo citò in un verso famoso del Purgatorio (“la vipera che il milanese accampa”): non si creda che il poeta abbia voluto denigrare Milano, se è vero come è vero, che il motto araldico visconteo suonava “Vipereos mores non violabo”, ambedue frasi di significato non immediatamente chiaro.
Mostriamo qui alcuni esempi di come il simbolo del biscione fosse molto diffuso, presentando un boccale recentemente ritrovato negli scavi sotto il Duomo, probabilmente trecentesco, e un affascinante calice, ormai di carattere rinascimentale. Anche se la funzione di rappresentare la Signoria era affidata pure ad altri simboli, come in questa pagina miniata per Francesco Sforza: una scena di caccia molto viva, pur nella sua simmetria di composizione, anche cromatica. È presente anche una donna, che non monta all’amazzone, e campeggia al vertice un falcone minaccioso che chiaramente impersona il potere ducale.

Nei secoli successivi però altre duplicità, contraddizioni, contrasti aspetteranno al varco la città, specie nelle sue vicende acquee, che avevano trovato un temporaneo ma essenziale compimento nel 1496 quando la decisione di Ludovico il Moro permise di collegare la fossa interna di Milano al Naviglio della Martesana, scavato nella seconda metà del Quattrocento.

La storia idrica milanese, sempre sofferta, si trova al momento in cattive acque (se ci perdonate il bisticcio) e non è chiaro se il prossimo futuro la cambierà di segno: cercheremo perciò, all’inizio del nuovo anno, di indovinare quel che ci aspetta.

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